Nizza, come possiamo difenderci?

Indifesi. La prima parola che viene in mente, dopo i fatti di Nizza, è questa: indifesi. E non solo per la facilità con cui ci colpisce l’internazionale del terrore, ma anche per l’apparente ineluttabilità con cui tanti ragazzi vengono irretiti dalla propaganda d’odio. Perché è questo il male del nostro tempo, il guaio fondamentale: non abbiamo gli strumenti per difenderci dai cattivi maestri, in carne e ossa o cibernetici. Molti ritengono che il fondamentalismo islamico sia un problema di natura religiosa, una sorta di degenerazione della fede. Lo è senz’altro. Ma non dobbiamo fermarci alla superficie del fenomeno: il guasto è più profondo e riguarda precisamente la diffusa debolezza nei confronti di quei messaggi che mirano alla pancia del disagio. Che, poi, questa debolezza intrinseca si traduca nell’adesione a progetti eversivi o nella simpatia per i populismi è in qualche modo secondario: l’ingenuità ci mette in pericolo. Servirebbe una inedita educazione ai linguaggi, uno studio approfondito delle tecniche di persuasione. Dovremmo pretendere, insomma, una scuola diversa, che insegni a riconoscere i demagoghi, gli agitatori, gli alfieri del livore. Dovremmo, ma nulla faremo. Perché? Perché richiede tempi lunghi, riflessione, confronto: abitudini che la democrazia dell’annuncio e del barometro elettorale ha perso da tempo. Non ci resta che discutere di improbabili reati, come quello di “fondamentalismo islamico” recentemente proposto da Giorgia MeloniNon ci resta che piangere e sbraitare. Fino al prossimo attentato. 

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